Emergenza

Ipocondria ai tempi del COVID-19

Ipocondria ai tempi del COVID-19

L’”ipocondriaco” è una personaggio di cui ormai abbiamo fatto conoscenza (stereotipizzata e a volte ridicolizzata) un po’ tutti. Un mal di testa diventa un tumore, un battito irregolare o un dolore al braccio destro si trasforma in pronostico di infarto.

I paradossi dell' isolamento

In questa lunga quarantena, salire sulle spalle dei giganti può essere d’aiuto.
Riassumo qui i concetti di questo video di Steve Porges e altre autorevoli fonti in ambito psicologico, riguardo a questo strano periodo.

Il paradosso attuale

Secondo Stephen Porges, in questo periodo, il nostro cervello affronta uno strano paradosso. Da un lato, siamo strutturalmente e funzionalmente programmati per avere contatti tra noi: fin da piccolissimi, le espressioni del viso e il tono della voce degli altri hanno il potere di calmarci nel momento della paura, più di ogni altro stimolo al mondo. Eppure, al momento, la priorità di tutti è quella di proteggersi da un virus pericoloso. Quindi, la paura stessa ci spinge a isolarci. Lo stesso senso di inquietudine che, tuttavia, ci richiederebbe di avere più contatti umani, per rassicurarci e dare una calmata al nostro sistema nervoso in allarme.

Cosa succede, se ci isoliamo? Rischiamo di andare in uno stato di marginalizzazione, e cominciamo a diventare più negativi, come reazione psicologica. I rischi di diventare paranoici, iper-preoccupati riguardo a questa situazione aumentano con l’isolamento, perché il nostro corpo non ha i regolatori necessari per calmarsi e, di conseguenza, i pensieri diventano più cupi.

Trauma da isolamentoBessel van der Kolk (video), autore di spicco in merito al tema del trauma psicologico, definisce la condizione attuale di isolamento come potenzialmente pre-traumatica, per via di questi fattori:

  1. Perdita di prevedibilità del mondo conosciuto

  2. Immobilità

  3. Perdita di connessione

  4. Ottundimento (Numbing out) e Distacco/Distanziamento (Spacing out)

  5. Perdita del senso del tempo

  6. Perdita del senso di sicurezza

  7. Perdita di senso e scopo nella vita

Messaggi, mail o videochiamate?

Quindi, qual è la soluzione a questo dilemma? Quella che molti di noi stanno già attuando, ovvero le videochat. Mail e messaggi possono certo aiutarci a comunicare, ma più elementi dell’altra persona riusciamo a visualizzare e sentire, meglio possiamo stare in questo momento. Nel corso dell’evoluzione della nostra specie, abbiamo imparato molto prima a utilizzare gli elementi comunicativi presenti nell’intonazione della voce e nell’espressione facciale, rispetto al mero linguaggio, molto più recente. Il problema dei testi scritti è che li decontestualizziamo dal volto di chi li invia, e questo attenua il potere regolativo della comunicazione sui nostri circuiti neurali.

Internet non equivale all’essere nella stessa stanza con un altro essere umano, ma ci può far sentire molto meglio dell’isolamento totale.

Porges parla di co-regulation: il “semplice” (virgolettato perché, a livello evolutivo, semplice non è per niente) fatto di condividere con un Altro la nostra preoccupazione contribuisce al suo alleviamento. In questo modo, rinforziamo il nostro sistema immunitario e al contempo ci sentiamo più sicuri psicologicamente, nel nostro stato attuale. Anche Van der Kolk evidenzia l’importanza della “connessione” visiva e uditiva con l’altro per contrastare l’effetto traumatico dell’isolamento.
”In questo stato, le videochiamate sono molto importanti per mantenere o ritrovare la sensazione di esistere, di essere visti da qualcuno, per rientrare in quel ritmo e in quella sintonizzazione emotiva che ci permette di approfondire anche la connessione emotiva con noi stessi e di sostenerci”.

Cosa possiamo aggiungere alla comunicazione virtuale?
Un altro passo verso la co-regulation, evidenzia Porges, potrebbe essere quello di prestare attenzione, mentre si videochatta, ai propri stati interni fisici (mi sento più “coi piedi a terra?” mi sento più calmo? da cosa me ne accorgo?) e a quelli dell’altro.

Questo processo di estrema attenzione ai propri segnali emotivi, e a quelli esperiti dall’altro, equivale a dire: “sono presente in questo momento, sono proprio qui, con te”.