Se hai deciso di intraprendere un percorso per incentivare la tua salute mentale, o per risolvere un problema di tipo relazionale, probabilmente ti troverai, in questo preciso momento, davanti a un mare di possibilità.
Internet è ampio, il mondo delle figure di aiuto anche, ma (spoiler) non tutte sono affidabili o competenti. Inoltre, quando cerchi supporto psicologico dovrai mettere in conto la possibilità di non trovarti subito a tuo agio con il/la professionista in questione. Così come nelle amicizie e nelle relazioni sentimentali, non è scontato azzeccare al primo colpo! A volte, dovrai fare più di un tentativo per trovare la/il professionista giusto/a per te.
Al di là di questo fattore di feeling “a pelle”, assolutamente normale nel processo di ricerca, purtroppo esistono anche figure poco competenti e professionali che rischiano di metterti in posizioni poco piacevoli, nel momento in cui chiedi un aiuto esperto e in cui sei, probabilmente, maggiormente vulnerabile.
Questa è una breve guida per metterti nelle condizioni di valutare con maggiore attenzione in chi riporre la tua fiducia.
Fai attenzione se…
1) Non riesci a capire che studi ha svolto la persona che hai davanti
In pochi esterni al settore lo sanno, ma il percorso per abilitarsi alla professione di psicologo e/o psicoterapeuta è lungo e travagliato. Ti riassumo velocemente: le uniche figure professionali scientificamente formate per questo tipo di lavoro, ovvero il lavoro clinico sulla salute mentale degli individui, sono:
a) Psicologo/ psicoterapeuta: percorso di 3 anni + 2 (laurea specialistica) di università, un anno di tirocinio post-laurea obbligatorio, successiva abilitazione tramite Esame di Stato all’iscrizione all’Albo degli psicologi, e, per essere abilitati all’attività psicoterapeutica, 4 anni di scuola di psicoterapia.
b) Medico psicoterapeuta: un medico abilitato che ha svolto i 4 anni di scuola di psicoterapia.
Solo queste figure possono vantare gli studi necessari allo svolgimento della professione nella salute mentale, sono abilitate all’esercizio della professione, appartengono ad un Ordine professionale specifico, e, cosa fondamentale, sono tenute a rispettare un preciso codice deontologico, che protegge i pazienti da qualunque tipo di abuso della professione.
Se ti imbatti in un professionista della salute mentale che si definisca career/life/love coach, counsellor, sciamano etc, hai tutto il diritto (e ti suggerisco di farlo) di chiedergli quali siano i suoi titoli abilitanti al sostegno della salute mentale. Se la risposta è vaga o indefinita, hai già avuto un primo segnale di allarme. Significa che questa persona può aver effettuato corsi trasversali alla materia psicologica di vario genere, nel migliore dei casi, e nel peggiore, considera la propria esperienza personale di vita come sufficiente a curare gli altri e “dare consigli”.
2) L’effetto “guru”
Non lo dico a mio vantaggio, essendo parte della categoria, ma le persone che si occupano di salute mentale lo fanno, molto spesso, perché hanno avuto problemi mentali. Questo, spesso, è il punto di partenza di chi intraprende la professione di psicologo; il fatto di aver sperimentato la sofferenza psicologica costituisce un trampolino di interesse verso questo mestiere, indubbiamente personale, che poi, fortunatamente, molti di noi riescono a mutare in qualcosa di meno personale e più filantropico. Attraverso adeguati percorsi psicologici personali, noi psicologi capiamo quanto sia efficace questo mestiere, e quanto lontano si possa andare, nella consapevolezza di sé e delle proprie lacune e limiti. Questo… se tutto va come dovrebbe.
In alcuni casi, le persone che svolgono questo mestiere rimangono ancorate alle problematiche che le hanno spinte a farlo: quale migliore via di fuga dai propri problemi e senso di inferiorità verso il mondo se non quella di aiutare qualcun altro, coltivando un malsano senso di superiorità? Questo è quello che io chiamo “l’effetto guru”, tipico di figure di aiuto che, nella loro professionalità (o meno), esibiscono un aura di saggezza e il sottotitolo perenne “io ho capito tutto dalla vita, vieni qui che ti insegno”.
Trovarsi di fronte a questi soggetti può provocare diverse reazioni: possiamo sentirci inizialmente affascinati, degli “eletti” fortunati ad avere a che fare con il Guru in questione, e, qualche volta, scoprire che abbiamo “bisogno” di lui o lei per sentirci validati in ciò che facciamo, magari attraverso complimenti o frasi che sottendono un significato del tipo “tu sei diverso/a, sei speciale”. Ecco, se vi sentite un po’ troppo speciali di fronte al/la vostro/a terapeuta, forse non è un buon segno. E vi assicuro che può essere piacevole all’inizio, quest’idolatria reciproca, ma dopo un po’ mostrerà l’altra faccia della medaglia: la manipolazione, e, nel migliore dei casi, una profonda delusione.
3) Ti suggerisce cosa fare, che carriera intraprendere, quale partner scegliere
Questo discorso è un po’ collegato al rischio di essere manipolati da chi ci aiuta. In terapia, nessuno dovrebbe dirti cosa fare. Certo, nelle terapie cognitivo comportamentali gli esercizi da fare a casa sono frequenti, così come le prescrizioni (provare ad esporti ad una tua paura di guidare, ad esempio), ma si tratta di esercizi terapeutici, non di consigli di vita. Il vero campanello d’allarme suona quando qualcuno (psicologo o counselor, poco importa!) si sente in diritto di dirti che cosa dovresti fare, nelle tue scelte più importanti. La psicoterapia non è una strada in cui qualcuno, dall’esterno, ti comanda a bacchetta o prende le scelte al posto tuo; semmai, è un luogo dove qualcuno ti insegna i mezzi migliori per prendere le tue scelte con consapevolezza (dei tuoi desideri, e delle possibili conseguenze).
La prova del nove è chiedere al/la professionista se dovresti sposarti o meno, e vedere cosa ti risponde. Se ti risponde in modo definito, è un problema!
4) Rimane in silenzio e neutrale di fronte al tuo prolungato disagio/ parla continuamente
Esistono approcci terapeutici in cui il silenzio è considerato fondamentale nella terapia. E’ vero, il silenzio, specialmente quando utilizzato come puntini di sospensione dopo ad una scoperta personale importante, è estremamente potente. Ti permette di capirti meglio, di ascoltare quel rimescolio interno che poi ti farà crescere.
Tuttavia, senza entrare nel merito degli specifici approcci, se ti accorgi che stai parlando solamente tu, e a fine seduta ti senti regolarmente a disagio, abbandonato alla tua sofferenza, e non è una confusione di un periodo ma una costante, forse qualcosa non va.
Allo stesso modo, sul versante opposto, se la persona che hai di fronte parla continuamente e impartisce lezioncine, senza lasciarti il tempo per pensare in silenziosa riflessività, forse sta nutrendo un bisogno proprio di insegnare e correggere, che non necessariamente farà bene a te.
Le vie di mezzo, in linea di massima, sono le migliori.
5) Non hai chiaro quali siano i vostri obiettivi in terapia
Si chiama assessment, ed è quella fase iniziale del percorso terapeutico in cui tu e lo/la psicologo/a non solo cominciate a conoscervi ed “annusarvi” reciprocamente, ma cominciate a definire bene insieme quale sia il problema che ti ha portato lì. Stranamente, non sarà sempre chiaro nemmeno a te. Spesso, si viene in terapia per un problema (es. la mia ragazza vuole lasciarmi) e si finisce, dopo quelle 5-6-7 sedute di assessment, per comprendere che ciò che ti preme è una questione diversa (es. non sto per niente bene quando sono solo)! Questo è normale e auspicabile, quando si va in terapia. Piano piano, insieme alla persona che hai di fronte, comincerai a capire qual è il problema interno che puoi tentare di risolvere e, di conseguenza, capirai qual è il tuo obiettivo. Questo è l’assessment. A volte, l’assessment dura molto tempo, anche qualche mese. Altre volte, se sei fortunato, è più semplice. Questo però non toglie che, insieme al/la professionista, dovrete cercare di stabilire cosa state cercando di raggiungere. Se questo non accade, e ti sembra, per molte, troppe sedute, di vagare nella più totale inconsapevolezza di cosa state facendo, qualcosa non va.
Ricorda: sei legittimato/a a chiedere! “Cosa stiamo facendo?” “Come possiamo raggiungere questo obiettivo, secondo lei?”. Se ti trovi davanti a una persona seria, ti risponderà.
Questo vademecum è quantomeno riduttivo, dato che essere in terapia significa incontrare tante variabili che potrebbero rendere più o meno semplice il tuo percorso. Tuttavia, spero sarà in grado di guidarti nella tua scelta. Ed ora, buon inizio!