Terapia di coppia: 5 falsi miti

A volte, un litigio o l’ennesima rottura minacciata del rapporto (“stavolta è finita!”) possono essere la goccia che fa traboccare il vaso. Le soluzioni tentate fino a quel momento non sembrano efficaci, o lo sono solo parzialmente, e così si decide di rivolgersi ad un professionista.

E’ curioso quanto le coppie spesso aspettino, prima di compiere un passo del genere; a volte, aspettano troppo, quando l’ultimo filo della corda si sta per rompere. Altre volte, più previdenti o semplicemente più informate su cosa sia la terapia di coppia (non un’ultima spiaggia, ma un vero e proprio medicinale per conflitti e problemi anche più lievi della rottura), si rivolgono ad un terapeuta con fiducia e un certo anticipo.

In ogni caso, la coppia arriva a questo percorso con aspettative (consce o meno) su cosa avverrà.
In questo post vorrei chiarire con voi cosa è legittimo aspettarsi in un percorso del genere, e magari sfatare qualche mito.

Aspettative NON realistiche (Weeks & Treat, 1998):

  • “Stiamo andando dalla terapeuta, così ci dirà lei cosa fare.”
    Nella maggior parte dei casi, un terapeuta non dovrebbe essere una madre che guida due figli dipendenti, o una persona onnisciente che sottovaluta l’intelligenza dei pazienti.
    Se vi rivolgete ad una terapia di coppia, questa vi aiuterà a trovare le vostre soluzioni e a mobilitare le vostre risorse.

  • “Parleremo sempre noi e il terapeuta non dirà niente”
    Se è vero che la terapia non è un modo per avere indicazioni su cosa fare, è anche vero che un terapeuta passivo, soprattutto durante momenti di conflitto, serve solo ad aumentare il senso di disperazione nei partner. Il terapeuta o la terapeuta dovrà essere invece una guida, capace di dare regole e struttura a conversazioni che si sono già verificate molte altre volte nella coppia: questa volta, c’è un esterno che può fare da contenitore alle angosce, senza lasciare che esplodano.

  • “Il successo della terapia dipende da quanto è bravo/a il terapeuta”
    Questa credenza è vera solo in parte. Le intuizioni e le capacità del terapeuta sono sicuramente componenti chiave per il successo della terapia, ma è importante capire la propria responsabilità nel processo, in quanto pazienti. Ricordarsi che il terapeuta è una guida, e non un “tuttofare”, permette ai pazienti di non ridurre il proprio ruolo a quello di bambini. in questo modo, i successi della terapia non saranno ascrivibili al solo terapeuta, ma soprattutto alla coppia.

  • “Una volta che la terapia inizia, non finirà mai”
    Così come l’inizio della terapia è stata una vostra decisione, in quanto coppia e individui, avete la facoltà di interromperla in qualsiasi momento. Inoltre, il percorso di assessment, ovvero la valutazione del problema, permetterà di dare un’indicazione iniziale sulla durata del trattamento, che può variare da qualche seduta a diversi anni. In generale, sarà possibile capire la sua durata grazie al raggiungimento (o meno) degli obiettivi della coppia.

  • “Andiamo in terapia, così la terapeuta potrà finalmente dirti che ho ragione io!”
    E’ facile che la terapeuta o il terapeuta venga scambiato/a per un arbitro. Pur essendo questo un processo naturale in una coppia che si trova in conflitto, una professionista degna di questo nome farà il possibile per evitare di schierarsi dalla parte di uno o dell’altra, piuttosto cercherà di evidenziare la circolarità dei problemi della coppia (un partner fa qualcosa, l’altro reagisce rinforzando quel tipo di accusa o problema, e generandone uno nuovo). Dato che nei rapporti a due la responsabilità di ciò che accade è condivisa 50 e 50, non è importante stabilire “chi ha iniziato” o “di chi è la colpa”, ma come interrompere i cicli disfunzionali.

Bibliografia (post ispirato a):
G. Weeks, & S. Treat (1998). Terapia di coppia. Tecniche e strategie per una pratica terapeutica efficace. Milano, Franco Angeli.